SULL’OPERATO DEL FMI: LA STORIA INFINITA DEL BRUTALE SACCHEGGIO ARGENTINO (parte 1)

Riceviamo da Mario D’Aloisio e volentieri pubblichiamo (a puntate).

La prima parte copre gli eventi che vanno dalla morte di Perón (1974) all’elezione di Alfonsín (1982).

 

La copertina del Time raffigurante i Peron
La copertina del Time raffigurante i Peron

Il primo luglio del 1974 morì Juan Domingo Perón, stroncato da un infarto. La vedova del presidente, Isabelita, organizzò a Buenos Aires imponenti funerali di Stato. Il paese si strinse attorno alla salma del leader che aveva saputo portare prosperità economica e relativo benessere alla nazione, nonostante l’instabilità politica degli ultimi anni. La “terza via” peronista era riuscita a contenere la povertà, garantendo Stato sociale e diritti.

Alla morte di Perón l’Argentina contava “solo” tre milioni di indigenti su una popolazione di venticinque milioni di persone. Ma le cose sarebbero presto precipitate irreversibilmente con effetti durevoli nel tempo (quarant’anni più tardi la popolazione avrebbe superato i quaranta milioni di abitanti con oltre dieci milioni di poveri). Poco dopo la scomparsa di Perón una dittatura militare con a capo Jorge Rafael Videla prese il potere con la forza. Il regime di Videla ereditò una nazione in salute e la portò immediatamente al collasso.

Nel 1974 l’Argentina vantava un debito estero di appena 6 miliardi di dollari, e un tasso di disoccupazione che non superava il 6%. In seguito al golpe militare l’indebitamento crebbe in valore nominale di quattro volte e la percentuale dei disoccupati salì al 28%. Il paese precipitò nel più totale caos politico, economico e sociale. La dittatura avviò il cosiddetto “Proceso de reorganización nacional” che prevedeva l’installazione di un sistema economico neoliberista e l’allontanamento della minaccia comunista attraverso la tortura e la sparizione di chiunque si opponesse al regime. Più di trentamila persone, i tristemente noti desaparecidos, scomparvero nel nulla, senza fare più ritorno a casa. Il regime dichiarò fuorilegge i sindacati, censurò la stampa e chiuse le Università. La Guerra sporca, questo il nome del programma di repressione, fu attuata sotto il controllo diretto di Washington e dei servizi segreti americani nell’ambito dell’Operazione Condor.

Il Fondo Monetario Internazionale giocò un ruolo chiave nel sostenere l’indebitamento argentino durante gli anni della dittatura di Videla. Attraverso l’operato di un proprio funzionario locale, Dante Simone, oltre che con la complicità di Videla stesso, del ministro dell’Economia, Martínez de Hoz, e dell’allora direttore della Banca centrale, Domingo Cavallo, il Fondo Monetario Internazionale favorì il programma di apertura economica del governo di Buenos Aires, determinando l’indebitamento forzato delle principali aziende pubbliche del paese.

Emblematico fu il caso della principale impresa pubblica argentina, la società petrolifera YPF (Giacimenti Petroliferi Fiscali), costretta a indebitarsi con l’estero pur avendo risorse sufficienti per sostenere sviluppo e investimenti. Al momento del golpe militare la YPF aveva un debito estero di 372 milioni di dollari. Sette anni più tardi, quando cadde il regime, il debito era salito a 6.000 milioni di dollari, aumentando di oltre 16 volte. Quell’ammontare di denaro in valuta estera non fu depositato nelle casse dell’azienda, ma finì direttamente nelle mani del regime. Contemporaneamente il governo impose pesanti tagli al personale della società, che passò da 47.000 a 34.000 lavoratori, stabilendo inoltre di dimezzare a proprio vantaggio la quota di introiti dell’azienda derivante dalle commissioni per la vendita di combustibile. In soli sette anni la YPF fu letteralmente depredata. Il brutale dissesto finanziario a cui fu sottoposta l’azienda costrinse la YPF a raffinare il petrolio che estraeva presso le multinazionali Shell ed Esso, impedendole dunque di dotarsi della capacità di depurazione del greggio adeguata alle proprie esigenze commerciali. Il denaro continuò a fluire dalle banche straniere e in pochi anni l’intero attivo della YPF fu pignorato per debiti.

Intanto il passivo con l’estero dell’Argentina cresceva come un bubbone infetto. I responsabili economici del regime e il FMI giustificarono l’enorme indebitamento dello Stato con la necessità di aumentare le riserve in valuta estera del paese per sostenere una politica di apertura economica che favorisse l’interscambio sul mercato mondiale. In realtà il denaro che finì nelle casse del governo dalle banche estere non passò sotto il controllo della Banca Centrale argentina, ma venne immediatamente ricollocato sotto forma di depositi presso le stesse banche di provenienza o in altri istituti di credito stranieri, ma a tassi di interesse inferiori a quelli pagati per il prestito. Alla base di questo perverso sistema di gestione economica, che di fatto avrebbe compromesso irrimediabilmente il bilancio dello Stato argentino negli anni a venire, ci furono i biechi obiettivi di arricchimento personale delle stesse autorità che lo avevano architettato, grazie alle allettati commissioni elargite dai banchieri che parteciparono al saccheggio.

L’accumulo di riserve in valuta estera favorì l’aumento delle importazioni, soprattutto di armi, assolutamente indispensabili al regime per seminare il terrore. La Federal Reserve si mostrò disponibile a sostenere la politica economica del ministro de Hoz, giacché buona parte del debito rimaneva depositato nelle banche nordamericane. Anche il FMI e l’amministrazione statunitense accolsero positivamente la politica autodistruttiva di Buenos Aires.

L’Argentina, il paese che aveva vissuto un vero e proprio miracolo economico durante l’era di Perón, stava tornando a poco a poco sotto il controllo diretto di Washington. Nel 1981 Videla fu deposto da un colpo di Stato. Il generale Roberto Eduardo Viola si autoproclamò presidente a vita. Ma la strategia del terrore e della repressione non cambiò d’una virgola, anzi si inasprì. Nove mesi più tardi il generale Viola fu destituito da un nuovo colpo di Stato. Il generale Galtieri, stretto collaboratore di Videla, prese il potere in un momento particolarmente drammatico per il paese. La nuova giunta militare si distinse per un inasprimento ancora maggiore della repressione. Ma i giorni del regime erano ormai contati. Con la sconfitta nella guerra delle Falkland-Malvinas, nel giugno del 1982, il generale Galtieri presentò le proprie dimissioni. Il generale Reynaldo Bignone prese il comando del paese con l’obiettivo di gestire un periodo di transizione democratica. Tuttavia, di fronte alla crescente pressione delle opposizioni e di gran parte della comunità internazionale, Bignone fu costretto quasi immediatamente ad indire libere elezioni democratiche. Raúl Alfonsín, candidato dalla Unión Cívica Radical, venne eletto con il 52% dei voti.

Agli anni bui della dittatura militare sarebbero presto seguiti quelli dolorosi della dittatura del debito. Il triste destino dell’Argentina era ormai segnato.

(continua qui con la seconda parte…)