KAPPADIPICCHE AL CONVEGNO “MORIRE PER L’EURO”

In un giorno storico per gli attivisti Anti-Euro, la testimonianza del nostro inviato a Bruxelles

babele

Kappadipicche è rimpatriato nella sua terra natia. La prima trasferta europea del giovane blog si è conclusa da poco ed è difficile sintetizzare in poche parole l’impagabile sensazione di vedere i nostri beniamini, all’inizio ignorati, poi vituperati e ora, incredibilmente ma comprensibilmente, corteggiati esibirsi nel più impensabile dei luoghi: la sede del Parlamento Europeo a Bruxelles.

Ci preme sottolineare anche l’importanza che questo evento ha rivestito per coloro che, da oramai due anni, conducono incessantemente una battaglia di verità al fine di includere il tema dell’Euro all’interno del dibattito politico italiano. Molte le facce, al termine del convegno organizzato dall’On. Magdi Cristiano Allam e patrocinato dal gruppo parlamentare “Europa per la Libertà e la Democrazia” (ELD), visibilmente soddisfatte dalle argomentazioni dei relatori intervenuti: Alberto Bagnai, Claudio Borghi ed Antonio Maria Rinaldi.

parlamento

Claudio Borghi e Alberto Bagnai sono stati i primi economisti in Italia a denunciare i pericoli causati dall’ingresso e dall’ostinata permanenza dell’Italia nell’Unione Monetaria Europea e, fino ad ora, ogni loro previsione si è dimostrata puntualmente confermata dai fatti. Al convegno di Bruxelles ha partecipato anche Antonio Maria Rinaldi, altro economista anti-Euro della prima ora.

specchio

Il Pre-convegno

L’impatto con i palazzi istituzionali è stato ammorbidito da questo “gentile” messaggio dell’On. Martin Schulz (foto qui sotto), Presidente del Parlamento Europeo. Una volta entrati, precedentemente all’inizio del convegno, è stato possibile assistere ad una breve introduzione sui ruoli e le funzioni degli organi comunitari. Il funzionario, non esattamente a proprio agio considerata la platea di euroscettici, si è concentrato, durante la sua spiegazione, sull’evoluzione dei poteri legislativi attribuiti al Parlamento Europeo. L’organo, istituito dal Trattato di Roma del 1951, ha le sue due sedi a Bruxelles, dove si tengono le sessioni ordinarie, e a Strasburgo, dove si svolge, una volta al mese, la seduta plenaria. Inizialmente il Parlamento Europeo era dotato di meri poteri consultivi nei confronti dell’altro organo legislativo della Comunità Europea, il Consiglio. Ciò ha rappresentato un grave deficit democratico all’interno dell’assetto istituzionale e il processo di integrazione politico-economico europeo ha cercato, ad iniziare dal “Progetto Spinelli”, di ovviare a questa problematica attraverso l’ampliamento dei poteri attribuiti al Parlamento stesso. Oggi, successivamente all’entrata in vigore del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, il Parlamento Europeo si può ritenere il co-legislatore delle norme emanate all’interno del perimetro comunitario, unitamente al Consiglio dell’Unione Europea. Non solo: al Parlamento esso verrà attribuito, a partire dalle elezioni europee del 2014, il potere di proporre i propri candidati per la composizione della Commissione Europea. Tali nomine, fino ad oggi, erano di competenza esclusiva del Consiglio dell’Unione Europea. In questo ambiente si è inserita la domanda del Prof. Bagnai che ha posto un interrogativo sostanziale relativo alla gerarchia tra i due organi, riguardante la possibilità del Parlamento di poter sfiduciare la Commissione Europea. La risposta è stata quasi sorprendente: il Parlamento ha sì il potere di promuovere la sfiducia della Commissione, ma ciò non è mai avvenuto!: L’unico caso ricordato, le dimissioni della Commissione Santer (della quale faceva parte anche Mario Monti) furono presentate spontaneamente dai propri membri senza necessità di attivare il meccanismo della sfiducia. La conclusione cui si giunge è che, a livello potenziale, il deficit democratico delle istituzioni comunitarie è de facto meno grave di quanto comunemente percepito. Il punto nevralgico della questione riguardante l’azione politica delle istituzioni comunitarie non è quindi la loro origine più o meno democratica ma al contrario, l’ideologia ed i valori in osservanza dei quali esse assumono le decisioni ,  I rappresentanti politici attualmente hanno risposto agli shock economici esterni attraverso il taglio dei salari, soprattutto quelli dei ceti più bassi. Agendo in questo modo i governi nazionali perderanno sempre più consenso, causando pertanto o svolte autoritarie o il crollo del sistema (per migliori info visualizzare l’intervento del Prof. Bagnai nel video qui in allegato).

Shultz

IL CONVEGNO

 Il convegno si è svolto di fronte ad una sala gremita di partecipanti attenti e provenienti non solo dall’Italia, incentivati in questo anche dalla possibilità di usufruire del servizio di traduzione simultanea, offerto in più di cinque lingue.

 L’intervento di Allam

La prolusione iniziale è stata affidata all’On. Allam che si è premurato di fare gli onori di casa e di introdurre il tema del convegno: “Morire per l’Euro?”. Allam si fregia del vanto di essere stato l’unico politico che si è presentato ultime elezioni italiane inserendo all’interno del programma del suo movimento politico “Io Amo l’Italia” la necessità per l’Italia di abbandonare seduta stante l’Euro e di recuperare conseguentemente la propria sovranità monetaria. Lo Stato infatti, sostiene Allam, in conseguenza dell’osservanza dei parametri economici imposti da Bruxelles, è diventato il principale debitore delle imprese italiane, che chiudono non solo per debiti ma in molti casi anche per crediti. E’ necessario quindi a suo dire fare chiarezza, oltrepassando la cortina di fumo rappresentata dall’incestuoso intreccio di potere tra finanza, economia e mezzi di comunicazione di massa. Per fare ciò è indispensabile mettere da parte le ideologie e rappresentare i fatti per ciò che sono realmente, con l’obiettivo di costruire un fronte per la sovranità da contrapporre alle prossime elezioni europee a quello della Troika e dei finti Stati Uniti d’Europa.

L’intervento di Claudio Borghi Aquilini

Claudio Borghi ha focalizzato il suo intervento su tre argomenti:

  1. le analogie storiche sugli squilibri commerciali causati dall’adesione allo SME e all’Euro,
  2. l’evoluzione della bilancia dei pagamenti dei paesi dell’Eurozona
  3. la maggiore libertà che paesi con sovranità monetaria, quali la Gran Bretagna, hanno avuto nel 2008 per reagire alla crisi.

Lo SME è stato il vero antesignano dell’Euro e, di fatti, al primo shock petrolifero saltò, obbligando gli Stati a lasciare fluttuare i cambi liberamente. Per molti Paesi, tra cui l’Italia, ciò comportò una razionale svalutazione. Era evidente che l’impegno dei paesi più deboli a rispettare tassi di cambio troppo rigorosi avrebbe causato una perdita di competitività dei propri prodotti, generando deficit delle partite correnti e una posizione debitoria sui conti esteri. Tuttavia, gli Stati avevano potuto evitare crisi troppo prolungate avendo ancora in funzione le rispettive banche centrali. Con l’Euro ciò è divenuto impossibile: il vincolo del cambio è stato ulteriormente irrigidito attraverso l’adozione di una moneta unica e il contestuale potere di emetterla ad un’istituzione indipendente, la BCE. Al momento dello scoppio della crisi, nel 2008, la Gran Bretagna ha svalutato la sterlina del 30%, permettendo quindi alla propria economia, fondata prevalentemente sui servizi bancari ed assicurativi, di reggere il peso della crisi; al contrario, nell’Eurozona, le misure di riequilibrio macroeconomiche sono state predisposte ad esclusivo beneficio dei paesi creditori del nord, aggravando ulteriormente la posizione dei paesi debitori e, come nel caso dell’Italia, impegnandoli a pesantissimi impegni finanziari per debiti che non avevano.

L’intervento di Antonio Maria Rinaldi

A questo tema si è riallacciato il discorso di Antonio Maria Rinaldi: quanto imposto all’Italia a livello politico ed economico è, a suo dire, vergognoso ed il suo discorso ha assunto a tratti veri e propri toni da invettiva. L’introduzione dell’Euro a livello giuridico è da ritenersi completamente illegittima non essendosi basata sull’applicazione di quanto previsto nei Trattati bensì attraverso quanto disciplinato dal Regolamento no. 1466/97. A partire da questo esempio, egli ha criticato l’intera architettura politica europea e l’applicazione distorta dei Trattati, favorita dalla supina accettazione da parte dei rappresentanti politici italiani, a partire dal rapporto deficit/PIL del 3%, fatto rispettare come un totem senza tenere conto delle ipotesi derogatorie offerte dai Trattati in presenza di determinate circostanze economiche eccezionali.

La mancanza di solidarietà e mutualità ha reso possibile che la moneta, da principale elemento di coesione, si sia trasformata nel motivo di maggior contrasto nell’Unione Europa; “non sono riusciti ad uniformare le spine elettriche, figuriamoci l’IVA!” è stata la sua chiosa.

L’intervento di Alberto Bagnai

L’ultimo intervento, quello di Alberto Bagnai, è stato sicuramente il più tecnico dei tre. Le argomentazioni e i dati esposti sono stati davvero tanti ed hanno avuto quali basi fondamentali i due presupposti alla base della sua opera di divulgazione: ovvero che la crisi dell’Euro è una crisi di debito privato e che lo scopo perseguito dall’attuale potere economico è la compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori.

Gli squilibri commerciali esposti da Claudio Borghi sono stati finanziati interamente attraverso l’utilizzo del debito privato (anche il membro del board BCE Vitor Constancio lo ha ammesso) e le banche finanziatrici appartenevano ai medesimi paesi dai quali provenivano i prodotti acquistati. In questo senso l’esposizione del settore bancario dei Paesi del nord verso i Paesi del sud nei dieci anni di unione monetaria è quintuplicata. I Paesi sono stati drogati dal debito privato e non dalla spesa pubblica.

Anche la spesa pubblica primaria dell’Italia è infatti sempre stata in linea con quella degli altri Paesi UE. Anzi, proprio nei primi anni dell’Euro i Paesi c.d. “virtuosi” hanno avuto maggiore spesa pubblica degli altri.

Ora, per diventare più competitivi non serve ridurre il costo del lavoro e la spesa pubblica perché la domanda aggregata rappresenta un elemento fondamentale del PIL senza la quale è impossibile riattivare virtuosamente il ciclo economico. Se la reprimi, produci insolvenze. La Germania, che durante gli anni dell’Euro ha represso la quota salari dei suoi lavoratori dell’8%, ha risolto il problema della domanda di beni utilizzando il consumo a debito degli abitanti degli altri Paesi dell’Eurozona.

Tutto ciò era già stato previsto dalla teoria economica: i tassi di interesse bassi per via dell’unione monetaria con Paesi economicamente più forti avrebbero permesso agli squilibri commerciali dei Paesi più deboli di passare sotto traccia: essi erano infatti “credibili”. Da qui il sovra-indebitamento dei Paesi deboli e la conseguente sovra-esposizione delle banche dei Paesi del nord nei confronti dei primi. Tra i tanti luoghi comuni annoveriamo anche quello che sostiene che gli Stati membri virtuosi abbiano aumentato il tasso di investimento all’interno dei confini nazionali. Al contrario, gli investimenti, incentivati dalla libera circolazione dei capitali favorita dall’Euro, sono andati a finanziare i consumi all’estero. Anche qui la Germania offre un perfetto esempio della conferma di questa teoria, essendo la nazione che ha il più basso tasso di investimento in Europa (addirittura inferiore a quello Greco) e il tasso di esposizione bancaria verso l’estero più alto.

Rebus sic stantibus, l’unica soluzione realistica offerta dalla teoria economica per riacquisire competitività è smantellare l’Eurozona, per motivi sia di breve che di lungo termine. I livelli di indebitamento hanno raggiunto infatti i livelli della fine della seconda guerra mondiale. A quei tempi la regolamentazione dei mercati finanziari e un’equa redistribuzione delle risorse produttive permisero una buona correlazione tra debito e crescita nei trent’anni successivi. Se non si facesse ciò, la crisi dell’Euro trascinerà dentro di sé anche l’Unione Europea.

La presenza dei media

Ottima anche la risposta dei media, incuriositi da un appuntamento così atipico rispetto alla solita scaletta di eventi: si sono viste, incredibile auditu, le telecamere ed i microfoni della RAI nelle vesti del TGI e del talk-show di Rai Due Virus il quale questo venerdì dovrebbe mandare in onda un servizio proprio sul convegno. E’ capitato spesso, durante l’esposizione delle varie relazioni, che i relatori fossero letteralmente strappati dalla loro poltrona per uscire dalla sala e prestarsi alle incessanti richieste dei giornalisti accorsi. Molti inviati di importanti testate editoriali erano presenti, tra le quali Libero Quotidiano ed Il Giornale.

              Il post-convegno

I momenti successivi alla fine del convegno hanno rappresentato l’occasione per confrontarsi tra gli invitati ospiti di Magdi Allam, assistito da un ottimo staff che ha predisposto un’organizzazione impeccabile. E’ stato un modo per scoprire ancora una volta l’innumerevole quantità di persone volenterose, orgogliose e ottimiste circa il futuro del nostro paese (ottimiste, ovviamente non nello stesso senso che intende Renzi, NDR).

Considerazioni finali

Speriamo di avervi offerto una prospettiva dettagliata e puntuale di quanto accaduto Martedì a Bruxelles. Vi vogliamo lasciare con questa immagine che ritrae le bandiere degli Stati membri dell’Unione Europea disposte ordinatamente in fila. Questo vorremmo fosse metaforicamente l’avvenire del nostro continente: uno spazio geopolitico d‘incontro, confronto e integrazione tra culture e nazioni sovrane e indipendenti, spinte all’unità dal desiderio di cooperazione economica e politica. La moneta unica, per ora, lasciamola da parte!

 bandiere

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